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My whale

Patrizia Amodio scrive su Something Blue


Something blue

Un velo di abbraccio sulle tonalità del blu, in continuità cromatica, tra la coda vibrante di luce della balena e la camicia dell’artista…solo la massa scura dei capelli e le braccia scoperte, filiformi ma tenaci, a coprire tutta la forma, sottolineano l’unione tra umano e il vivente non umano.Ma l’abbraccio può anche essere meno invasivo, quasi a prendere sotto braccio una persona amica, per intraprendere un percorso comune….…e qui il contrasto si fa cromatico…..Chi si affida a chi, viene da chiedersi? Come una novella Ismaele, Monica Giovinazzi racconta il suo viaggio di iniziazione: la voglia di libertà attraverso il mare, la voglia di avventura, seguendo il canto delle balene,…..…sotto la guida di un essere ben lontano dalla minacciosa figura del Leviathan che tormenta Achab o dai leggendari pesci nella cui pancia si può persino vivere (da Luciano di Samosata a Collodi, la pancia della balena è una sorta di porto nascosto….). Herman Melville, che conoscitore delle nuove scoperte lo era di sicuro così come esperto della vita di mare , non può anche lui fuggire all’immagine “di un pesce sputante con una coda orizzontale”. E allora nel suo Moby Dick or the whale, visione moderna e quella ancestrale si confondono, alimentando nuovi miti. L’ Artista ribalta anni di tradizione, che hanno lasciato ai bambini di tutte le età un senso di inquietudine, di paura, di angoscia…Chi non ha sfogliato almeno una volta il libro Moby Dick non riuscendo a staccare lo sguardo da illustrazioni che parlavano di abissi, della balena come mostro in grado di portare giù negli fondali più profondi i balenieri, forti e giovani, ma succubi di capitan Achab? Illustrazioni dal potere onomatopeico, in grado di evocare grida, urla, sbattere di legni contro il corpo gigantesco della creatura, il suo stesso grido per il corpo straziato da segni di vecchi arpionature,…..…..Non voglio entrare nel merito delle diverse interpretazioni date al libro di Herman Melville, (da quelle psicologiche a quelle biblico-mitologiche), compresa quella che vuole vedere già nella prima versione del 1851, “The whale” una profonda critica alla politica della Corona britannica. Vi invito a ri-leggere Moby Dick e lasciarvi andare alle suggestioni della voce narrante. L’immaginario collettivo ha prodotto un grande varietà di interpretazioni sugli abissi e sulle creature che lo abitano: letteratura, cinema, testi teatrali,…..Può essere d’aiuto un confronto trasversale ai luoghi geografici e al tempo.Voglio, invece, lasciarmi trascinare dalle sensazioni che l’opera di M.G. ci comunica…..a cominciare dal titolo evocativo Something blue…La coda gigantesca della balena- alta due metri e quaranta- è come un timone solido, in grado di guidarci nel flusso delle acque, facendoci respirare in sintonia con il respiro del mare. Mare come luogo da cui ha avuto origine la vita anche sulla terra, come le acque calde e avvolgenti del liquido amniotico, che sa come proteggere e far sviluppare la vita. L’opera, realizzata con materiale di recupero ed esposta all’interno di un allestimento dal titolo “Mare nostrum”, sintetizza perfettamente il percorso artistico di M.G. ai tempi della pandemia. Voglia di superare i confini anche interiori, superare i limiti insiti nei materiali, rivalutando e trasformando scarti.La grande coda, dotata di vita propria, sembra immobile, ma lo è solo in apparenza, perché vibra, sembra tendersi, mutare aspetto secondo la riflessione della luce sulla sua superficie. E mi piace pensare al canto delle balene…….e a quell’abbraccio universale che riscatta anni di ferite inferte alla Balena, alla natura, in sostanza a noi. Allora nel viaggio di Monica Giovinazzi e della sua balena ritorna la metafora della vita umana.

L’ignoranza è madre della paura”, (trad. C.Pavese, 1932)




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